Storia del Movimento degli Artisti di Strada a Roma (1990/2019)

Pubblicato da Italo il

Ripubblichiamo questo interessantissimo articolo da TELLUS folio

Dai primi anni novanta ad oggi gli artisti di strada romani hanno fatto tante battaglie per la legittimazione dell’arte di strada a cappello, dando forma in successione a diverse realtà di movimento, come StradArte, l’A.M.I. (Associazione Musicisti Itineranti), Arte nel tempo (Associazione dei musicisti di Piazza Navona), il primo e il secondo CO.R.A.S. (Coordinamento Romano Arte di Strada), il C.R.A.S.C. (Comitato Romano Artisti di Strada a Cappello), e il movimento Strada libera tutti.

Si tratta di una storia che ha le sue radici in pieno ventennio fascista, negli anni trenta, quando è stato legiferato il T.U.L.P.S. (Testo Unico di Legge sulla Pubblica Sicurezza), tuttora in vigore, nel quale, all’articolo 121, si stabiliscono i documenti obbligatori per potere esercitare tutta una serie di mestieri ambulanti; tra i mestieri elencati, insieme ai venditori ambulanti di ogni sorta, ai cenciaioli, ai facchini, ai barcaioli, ai lustrascarpe, sono indicati anche gli artisti di strada, nelle categorie di “cantante”, “suonatore” e “saltimbanco”. Tra i documenti richiesti è compresa l’iscrizione ad un albo specifico, con il pagamento di una tassa annuale, una sorta di patente, obbligatoria ma che non garantisce in alcun modo un diritto all’esercizio.

Di fatto questo testo di legge, mentre rendeva possibili gli altri mestieri, rendeva impraticabile l’arte di strada in quanto vincolava ogni singolo spettacolo al possesso di una serie di permessi impossibili da ottenere nei tempi indicati.

Ovviamente, com’è costume italiano, l’arte di strada veniva comunque praticata e tutto si riduceva all’arbitrio della guardia di turno, che nella maggior parte dei casi chiudeva un occhio e si limitava a controllare la validità della patente di suonatore ambulante, sorvolando sugli altri documenti.

In seguito, nel 1993, fummo contattati dall’Associazione Terzo Studio, di Alessandro Gigli e Alberto Masoni, che in Toscana si stava muovendo per ottenere un riconoscimento istituzionale dell’arte di strada, e che, proprio per questo, nel centro storico di Certaldo, aveva in quegli anni iniziato ad organizzare ogni anno un grande festival, dal nome “Mercantia – Festival del Teatro da Quattro Soldi”, che coinvolgeva tutte le realtà di teatro di strada italiane, e comprendeva sia spettacoli di strada sia bancarelle di artigianato, oltre che la pubblicazione a fine manifestazione di un catalogo con foto e scheda di ogni artista intervenuto.

Di fatto l’arte di strada rifiorì grazie alla loro attività di promozione e valorizzazione, almeno per alcuni anni:

– il catalogo di “Mercantia” da questo momento in poi diventerà lo strumento principale per lavorare a contratto con il teatro di strada in Italia; -sull’esempio di “Mercantia”, i festival si moltiplicarono, con cachet abbastanza alti, e tutto questo portò anche a noi una buona quantità di lavoro. In questi festival, poi, si aveva l’occasione di conoscere altri artisti di strada, con cui si parlava sempre della situazione critica dell’arte a cappello; si fecero anche delle vere e proprie assemblee in cui si abbozzò l’idea di costituire un movimento nazionale per la rivendicazione al diritto di fare liberamente spettacoli in strada.

La difficoltà di mettersi d’accordo e allo stesso tempo di vedersi con continuità non fece mai veramente decollare questa idea: l’unica cosa che di concreto si riuscì a realizzare fu, dopo diversi anni, la fondazione della F.N.A.S. (Federazione Nazionale Artisti di Strada), che però inizialmente faticava ad essere attiva, data la latitanza dei suoi soci, finché, modificando il significato dell’acronimo, le si cambiò nome in Federazione Nazionale Arte di Strada, decidendo di aprirla anche agli organizzatori di festival che, da buoni manager quali erano, seppero subito farla fruttare, facendola diventare in poco tempo un organismo funzionale e potente, in grado di ricevere e gestire imponenti finanziamenti pubblici e di pubblicare una rivista a colori molto bella (dal titolo Kermesse) totalmente finanziata dallo Stato. Il problema è che quest’organismo, al di là delle belle parole sempre profuse, in quegli anni dimostra di essere indirizzato a tutelare solo gli interessi degli organizzatori dei festival che lo governano e non quelli dell’arte di strada a cappello. Tra i successi che vanno comunque riconosciuti alla F.N.A.S. c’è quello di aver compiuto le giuste pressioni politiche per far finalmente abrogare tutti i riferimenti all’arte di strada contenuti nel famigerato articolo 121, senza però arrivare alla formulazione di una legge che lo sostituisse, ma lasciando un vuoto legislativo che affidava ai Comuni il compito di colmare questo vuoto con specifiche legiferazioni a livello locale.

È stato proprio a livello locale, ossia a Roma, e al di fuori del raggio d’azione della F.N.A.S., che ha preso forma compiuta il primo vero e proprio movimento organizzato di artisti di strada in grado di ottenere importanti e storici riscontri; posso dire con orgoglio, come altri colleghi, di averne fatto parte fin dall’inizio, e di averne promosso la nascita attraverso la collaborazione con Claudio Montuori.

A partire dal 1996 cominciai a fare spettacolo quasi quotidianamente nel centro storico di Roma con il Duo Filamistrocca. Non sempre, ma piuttosto frequentemente, i nostri spettacoli venivano interrotti dai vigili, e, mentre noi ce ne andavamo in silenzio per evitare guai peggiori, la gente puntualmente protestava, anche con veemenza, tanto che una volta al Pantheon fu addirittura arrestato un ragazzo del pubblico. La gente era tutta con noi e i vigili erano sempre più in difficoltà, e più erano in difficoltà e più s’irrigidivano e facevano la voce grossa mettendo multe e anche, in alcuni casi, sequestrando gli strumenti. Le multe che venivano fatte agli artisti ammontavano a ben due milioni di lire: una cifra assurda che nessun artista poteva pagare e, non essendoci a quel tempo Equitalia, alla fine nessuno pagava. Il fatto è che era proprio la legislazione ad essere sbagliata e penalizzava in fondo tutti: gli artisti, i vigili e soprattutto la gente. Era evidente che c’erano le condizioni adatte per cambiare le cose.

Ad un certo momento con Claudio venne naturale contrattaccare, e demmo inizio quindi ad un periodo di battaglia per la liberalizzazione dell’arte di strada: ogni nostro spettacolo divenne un piccolo comizio.

Scrivemmo con buona calligrafia un breve appello per la “liberalizzazione della strada”, anche un po’ scherzoso, che mettevamo per terra in bella mostra durante gli spettacoli, vicino al cappello, e alla fine di ogni brano musicale spiegavamo la situazione alla gente del cerchio, cercando un consenso che arrivava senza molta difficoltà.

Claudio iniziò a portarsi dietro le sue multe di due milioni di lire ognuna, mostrandole ogni volta con feroce orgoglio agli spettatori increduli, insieme alla propria iscrizione al registro dei suonatori ambulanti (art. 121) regolarmente rinnovata: ne veniva fuori un intervento quasi teatrale che si ripeteva sempre, e senza bisogno di molte spiegazioni rendeva evidente a tutti l’assurdità di una legislazione che pretendeva dagli artisti di fare un patentino, per il quale si doveva anche pagare dei soldi, senza che questo poi garantisse in alcun modo la possibilità di lavorare e di non essere esposti a multe così sproporzionate alle possibilità economiche di un artista di strada.

In questo contesto, quando un vigile ci interrompeva finiva in pratica per fare il nostro gioco, visto che, all’atto dell’interruzione, la gente si arrabbiava e il nostro cappello subito si riempiva.

Raccogliendo e sviluppando l’eredità di Stradarte, Claudio fondò un’associazione di buskers che, più che alle generiche rivendicazioni espressive e alla promozione di rassegne di spettacoli, puntava senza mezzi termini ad ottenere il riconoscimento istituzionale del diritto a praticare l’arte di strada, non solo come basilare diritto all’espressione, ma soprattutto come mestiere. L’associazione fu chiamata non a caso A.M.I. (Associazione Musicisti Itineranti) per sottolineare che a muoverla nel profondo erano l’amore per il mestiere che facevamo e il valore dell’amicizia tra tutti gli esseri umani. Claudio Montuori aveva un grande carisma e molta capacità di coinvolgimento, e questo fece sì che all’A.M.I. aderirono, oltre a me, e a molti tra coloro che già avevano vissuto l’esperienza di Stradarte, anche quasi tutti i buskers romani. A non farsi coinvolgere dall’A.M.I. furono solo quei gruppi di buskers romani che erano legati ad un preciso luogo dove lavoravano praticamente sempre, e non erano quindi interessati ad un discorso generale sulla musica itinerante: ad esempio i musicisti dell’associazione Arte nel Tempo legata a Piazza Navona. Ma a lasciarsi coinvolgere fummo veramente in tanti, musicisti di tante diverse nazionalità, italiani, argentini, africani, marocchini, americani, svedesi, e c’erano anche fotografi e pittori che collaboravano gratuitamente con noi. Così, dopo pochissime riunioni, iniziammo ad organizzare manifestazioni-spettacolo, sia per promuovere la bellezza dell’arte di strada sia per rivendicare il diritto a praticarla come mestiere nella nostra città, e allestimmo anche una mostra fotografica sull’arte di strada che esponevamo in ogni occasione adatta; a tutto questo associavamo sempre una raccolta di firme per la nostra causa. L’iniziativa più grande fu realizzata alla borgata del Trullo, dove la mattina i musicisti si disseminarono nel quartiere, suonando nei cortili delle case popolari, con la gente che dalle finestre faceva piovere i biglietti da cinquemila lire attaccati alle mollette del bucato, e la sera si fece un grande spettacolo collettivo, tutti assieme, nel teatro parrocchiale San Raffaele gremito di gente. Organizzammo manifestazioni-spettacolo piuttosto grandi anche alla stazione Termini, a Piazza Vittorio, a Grosseto, e ai Fori Imperiali con Legambiente. Stampammo quindi un calendario autoprodotto, che vendevamo per finanziare l’A.M.I.: in esso c’erano le foto della mostra e diversi testi sia informativi sia poetici sull’arte di strada e sulle nostre rivendicazioni.

Tutto questo lavoro ci portò ad una telefonata con cui ci contattò un consigliere comunale: il suo nome era Pino Galeota.Questi ci propose di lavorare insieme per fare una delibera comunale che scavalcasse l’articolo 121 e consentisse di praticare l’arte di strada nella città di Roma, al contempo disciplinandola attraverso un regolamento che andava scritto soprattutto da noi. Il lavoro di preparazione della delibera durò ben due anni, e, dal momento che dovevano essere raccolte le esigenze di tutte le categorie del settore (non solo buskers e teatranti, ma anche burattinai, circensi, madonnari, eccetera), coinvolgemmo tutte le associazioni e le realtà dell’arte di strada nel territorio, riunite in un coordinamento cittadino che chiamammo non a caso CO.R.A.S. (Coordinamento Romano Artisti di Strada), per sottolineare che a muoverlo nel profondo non era un semplice interesse, ma il nostro cuore… e che noi eravamo… artisti de Coras!

Un gran bel giorno pieno di sole, il 3 aprile del 2000, il Consiglio comunale di Roma votò la delibera n. 68 che consentiva e regolamentava l’arte di strada nel territorio della Capitale, il cui regolamento era stato scritto in gran parte da noi, attraverso la lunga trattativa con il consigliere Pino Galeota, in cui, oltre a Claudio, ebbe un ruolo fondamentale Serena Galella, una bravissima artista di strada che era dotata di un’ottima capacità di organizzazione mentale, e che ebbe un ruolo di cuscinetto comunicativo, di mediazione, tra le modalità impulsive che caratterizzavano gli artisti di strada ed il linguaggio politico.

Si trattava della prima delibera in questo senso di una grande città italiana (e della seconda in assoluto in Italia, dopo quella di un piccolo comune emiliano, San Giovanni in Persiceto). Un successo storico, di cui noi del CO.R.A.S. eravamo assolutamente orgogliosi, tanto che per presentarla organizzammo una conferenza stampa dentro il Campidoglio, alla quale avemmo l’onore di far partecipare anche Dario Fo, il più famoso giullare del mondo, appena insignito del Premio Nobel, che fece un intervento sul valore dell’arte di strada per la storia del teatro. Seguì ovviamente una grande festa sulla piazza del Campidoglio, in cui i vari artisti di strada si alternarono, fino a che la sera fu fatto una sorta di rito finale in cui, mentre suonavamo con grande energia, Attilio, il miglior fachiro d’Occidente, romano di Primavalle, con una delle sue spaventose fiammate (in cui potevi vedervi dentro i draghi) dette fuoco ad un grande e finto cartello stradale con il divieto di suonare, la classica tromba nel cerchio rosso con barra trasversale, su fondo bianco.

Si trattava, ripeto, della prima delibera sull’arte di strada realizzata in una grande città, che anticipava di alcuni mesi l’abrogazione dei riferimenti all’arte di strada dal famigerato articolo 121, colmandone preventivamente il conseguente vuoto legislativo. Sicuramente per la storia dell’arte di strada italiana è stato un evento fondamentale, ma anche a livello internazionale si è trattato di qualcosa di eccezionale, il cui valore, ancora oggi, non è stato veramente compreso. Per la prima volta in una grande città, una capitale, sospinti dalle proteste e dalle firme della gente comune, gli amministratori politici davano agli artisti di strada operanti nel territorio il compito di redigere un proprio regolamento. Questo avrebbe dovuto essere un modello, un precedente da seguire ovunque.

Alcuni anni prima, il regista Vladimir Tcherkoff della TSI(Televisione della Svizzera Italiana), mentre stava girando un film-documentario sulla preparazione di Roma al Giubileo del 2000, si ritrovò ai Fori Imperiali proprio nel momento in cui i vigili interrompevano uno spettacolo del Duo Filamistrocca; all’interruzione seguirono le solite proteste degli spettatori, che furono però in quell’occasione particolarmente lunghe e vibrate, tanto che dovette accorrere il capo dei vigili di zona, con cui alcune persone ebbero un confronto d’idee molto duro, anche perché, alle domande che gli fecero, costui non seppe dare risposte convincenti ma solo autoritarie, ricevendo di contro un grande applauso ironico da parte di tutti i presenti. La troupe di Tcherkoff riprese l’intera scena e la inserì tutta nel suo film, che si concludeva proprio con l’applauso sarcastico e le proteste della gente contro i vigili, sfumando alla fine, con i titoli di coda, sulla musica della mia fisarmonica e l’immagine dell’acqua del Tevere che scorreva sotto i ponti vecchi di secoli. Tcherkoff s’informò sulla nostra situazione, e, dopo l’approvazione della delibera, decise di ritornare a verificarne l’applicazione, girando un altro film-documentario interamente dedicato alla nostra questione, poi andato in onda sia in Svizzera sia in Italia con il titolo di La strada come palcoscenico. Quando, l’estate seguente, Claudio, Nello ed io andammo a lavorare in due grandi festival di buskers in Svizzera, a Bienne e a Neuchatel, gli organizzatori fecero proiettare sia La strada come palcoscenico, sia un nostro video della festa fatta al Campidoglio per l’approvazione della storica delibera, con le immagini del discorso di Dario Fo e quelle del fachiro Attilio che compiva il suo rito finale. Raccontammo anche contestualmente la nostra esperienza di lotta. Il pubblico e soprattutto gli altri artisti che partecipavano al festival, e che provenivano da vari paesi del mondo (perfino dalla Mongolia), ne furono molto colpiti. La delibera romana ebbe così una sua eco internazionale.

“Va detto che un artista di valore deve per prima cosa proteggere la propria arte, il proprio spettacolo, e ha quindi tutto l’interesse a sviluppare nel proprio luogo di lavoro un ambiente sereno ed ordinato, che favorisca il godimento dell’arte, e normalmente lo fa proprio osservando e promuovendo, anche tra i colleghi, il buon senso e l’attenzione necessari per una convivenza positiva tra tutti, nel rispetto sia dei residenti e dei commercianti, sia degli altri artisti stessi”

Gli spettacoli di piazza a Roma e le tante battaglie per una regolamentazione adeguata nella rivisitazione di Daniele Mutino, antropologo, musicista e cantastorie

Dopo l’approvazione della delibera n. 68 del 2000, a Roma si poteva lavorare tranquillamente, forse anche troppo. Nessuno, da parte delle istituzioni e delle forze dell’ordine, si è mai preoccupato di far rispettare il regolamento di quella delibera, e quindi, negli anni a seguire, la liberalizzazione dell’arte di strada si è sviluppata in modo piuttosto caotico. Ci sono stati di conseguenza diversi disagi, soprattutto legati al comportamento scorretto di alcuni sedicenti artisti di strada che suonavano ad alto volume per tante ore nello stesso posto, anche in orari improbabili. A questo si è aggiunto l’arrivo di sempre più immigrati che hanno trovato nell’arte di strada una risorsa, pur non essendo tutti veri e propri artisti. Il centro storico di Roma si è saturato di proposte spettacolari in gran parte di scarso valore e spesso non rispettose delle regole.

La stampa ci ha abbastanza ignorato fino al 2009, quando è cominciata una campagna diffamatoria sistematica, portata avanti specialmente dalla cronaca romana di un importante quotidiano in cui si parlava costantemente degli artisti di strada in termini sempre e solo negativi e pieni di disprezzo, e solo in relazione a problemi di ordine pubblico, arrivando ad agire come una vera e propria opera di disinformazione. Per esempio, l’arte di strada veniva continuamente associata ai disagi provocati dalla cosiddetta movida notturna, con cui l’arte di strada in realtà non ha alcuna relazione in quanto la movida è un fenomeno legato più che altro ai locali e riguarda le ore notturne in cui nessun artista di strada può lavorare.

Proprio nel 2009, con una curiosa e quantomeno sospetta coincidenza di tempi con l’inizio di questa campagna stampa, il signor Dino Gasperini – inizialmente Delegato al Centro Storico e in seguito Assessore alla Cultura della giunta Alemanno – ha iniziato a far girare la bozza di una nuova delibera che egli intendeva presentare al più presto in Consiglio comunale, in sostituzione di quella del 2000. Si trattava di un progetto di delibera del tutto vessatorio nei confronti dell’arte di strada: prevedeva limitazioni eccessive relative agli orari e ai meccanismi di turnazione, con pesanti divieti e multe nonché la reintroduzione dell’obbligo di iscrizione ad un registro che però, come già ai tempi dell’articolo 121, non avrebbe garantito in alcun modo la possibilità di fare spettacolo. Ma l’aspetto più assurdo era che sarebbero state vietate nelle piazze e nelle strade di Roma intere categorie di strumenti musicali, indipendentemente dall’uso buono o cattivo che ne veniva fatto; erano infatti banditi dagli spazi pubblici di Roma:

– tutti gli strumenti a fiato, indiscriminatamente;

– tutti gli strumenti a percussione, indiscriminatamente;

– tutti i tipi di amplificazione, indiscriminatamente.

Da notare che gli strumenti a fiato e a percussione sono due famiglie di strumenti che l’umanità ha creato in origine proprio per essere suonati negli spazi aperti, e per questo hanno strutturalmente un’intensità del suono più alta degli altri strumenti, ma non possono essere considerati di per sé una fonte di disturbo, bensì una fonte di cultura e spiritualità, un patrimonio appartenente a tutta l’umanità: bandirli in blocco dagli spazi pubblici della città, oltretutto in una città di cultura e d’arte come Roma, avrebbe costituito un vero e proprio obbrobrio culturale, una ferita profondissima inferta all’identità artistica della capitale. Non credo di esagerare se dico che sarebbe come decidere di abbattere intere sezioni del Pantheon, di Castel Sant’Angelo e del Colosseo, solo perché la loro ubicazione crea problemi al traffico cittadino.

Anche la questione degli strumenti di amplificazione, tanto esasperata dai giornali, rappresenta in realtà un falso problema.

Contrariamente a quel che si può con leggerezza pensare, infatti, non tutte le amplificazioni creano disturbo, e non è nemmeno vero che esse servono solo per suonare più forte: ad esempio, molti strumentisti di musica classica che suonano strumenti monodici come il violoncello, il flauto traverso, il violino, ne hanno bisogno per mandare una base di pianoforte pre-registrata che accompagni il proprio strumento, in modo da sostenere armonicamente le loro performances melodiche; è quindi proprio grazie all’utilizzo per nulla invasivo di un impiantino di amplificazione che essi sono in grado di eseguire in strada, da soli, un brano magari dolcissimo di musica classica.

Si trattava di un provvedimento figlio di una grande ignoranza culturale di base, inconcepibile in una persona che occupa il ruolo di assessore alla cultura di una città come Roma, capitale mondiale di cultura. Va detto anche che le soluzioni a cui Gasperini aveva pensato non erano solo vessatorie nei confronti dell’arte di strada, ma perfino controproducenti rispetto alle problematiche dell’ordine pubblico, in quanto avrebbero drasticamente ridotto la dignità e la serenità del lavoro in strada degli artisti, favorendo quindi uno stato di difficoltà e di competitività tra artisti talmente alto da rendere inevitabile un forte appiattimento del livello della proposta artistica ed un conseguente peggioramento in senso caotico della situazione.

Va detto che un artista di valore deve per prima cosa proteggere la propria arte, il proprio spettacolo, e ha quindi tutto l’interesse a sviluppare nel proprio luogo di lavoro un ambiente sereno ed ordinato, che favorisca il godimento dell’arte, e normalmente lo fa proprio osservando e promuovendo, anche tra i colleghi, il buon senso e l’attenzione necessari per una convivenza positiva tra tutti, nel rispetto sia dei residenti e dei commercianti, sia degli altri artisti stessi.

Quindi iniziammo subito a riunirci per capire insieme cosa fare.

I giornali erano stati letti da molti artisti di strada e la prima riunione fu subito piena di persone: c’erano artisti di ogni tipologia, statue viventi, circensi, acrobati, pagliacci, giocolieri, alcuni in rappresentanza della scuola di giocoleria di Roma (una realtà molto viva che organizza corsi e raduni periodici), c’erano ovviamente i buskers romani, tra i quali questa volta anche alcuni di Piazza Navona, che non avevano partecipato agli incontri per la delibera del 2000, ed anche i musicisti rom di Campo de’ fiori e Santa Maria in Trastevere. C’era perfino l’ultimo Pasquino romano, ottuagenario, che ancora affiggeva ai monumenti i suoi sferzanti poemi satirici scritti su dei foglietti. Per prima cosa decidemmo di telefonare all’allora Presidente della F.N.A.S. Gigi Russo, per richiamare la Federazione alle proprie responsabilità istituzionali, troppo spesso dimenticate: gli chiedemmo di intervenire immediatamente presso il Comune di Roma per avere chiarimenti sul progetto di Gasperini, e per ribadire la necessità di continuare a riconoscere il valore culturale e sociale dell’arte di strada a cappello a Roma.

Così Gasperini ha dato alla F.N.A.S. un appuntamento per parlare della questione, assicurando la propria disponibilità ad analizzare insieme, punto per punto, tutti gli articoli della sua proposta di delibera, anche al fine di trovare soluzioni alternative; di fatto è partita così una trattativa ufficiale tra il Comune di Roma e i rappresentanti dell’arte di strada. Per una trattativa pienamente legittimata, però, oltre alla F.N.A.S., che costituiva una rappresentanza dell’arte di strada riconosciuta ufficialmente a livello nazionale, serviva anche e soprattutto una rappresentanza di tipo analogo a livello locale.

Fu così che decidemmo di rimettere in piedi il C.O.R.A.S., che venne costituito legalmente come Associazione Culturale, modificandone il nome in Coo.R.A.S., con due “o”, giusto per differenziarlo nella continuità dalla precedente esperienza. All’atto di ricostituzione del Coordinamento Romano Artisti di Strada, i soci fondatori furono oltre cinquanta, tutti artisti di strada in attività nel territorio romano. Io, con mio grande onore, venni eletto vicepresidente.

Inizialmente, per valutare la reale disponibilità nei nostri confronti da parte di Gasperini, si decise di andare al primo incontro ponendo quattro condizioni sine qua non per la nostra partecipazione alla trattativa:

– no ai divieti che riguardano intere categorie di strumenti musicali e apparecchiature, di cui va invece penalizzato solo l’eventuale uso scorretto che se ne fa;

– no alla costituzione di un registro e tantomeno di un albo;

– no alla scrittura di una nuova delibera, ma disponibilità piena, invece, a ridiscutere e modificare la delibera del 2000;

– chiedevamo anche l’istituzione, sia per questa riscrittura sia per il futuro, di un tavolo permanente di confronto in grado di individuare i problemi reali e trovare soluzioni efficaci, a cui avrebbero dovuto prendere parte tutte le principali componenti coinvolte, e quindi, oltre al Comune di Roma e ai rappresentanti degli artisti di strada nazionali e locali, anche i rappresentanti dei residenti e dei commercianti del centro storico, degli operatori del turismo, e, soprattutto, della polizia municipale.

In quel primo incontro Gasperini si mostrò molto interessato ad iniziare un lavoro comune per la scrittura di una nuova delibera, si dichiarò felice di potere lavorare insieme per valorizzare l’arte di strada e risolvere al contempo anche i problemi che essa pone; ci promise inoltre la sua piena disponibilità all’apertura di piazze che negli anni erano sempre state off-limits per noi, come Piazza di Spagna e Piazza della Borsa, piazze meravigliose, con un gran passaggio di gente ed un’acustica perfetta, oltre che la possibilità di aprire all’arte di strada luoghi attualmente invasi dalle automobili.

Riguardo alle condizioni che ponevamo si rese disponibile ad accettare le nostre obiezioni sul fatto di vietare intere categorie di strumenti e di istituire un albo o un registro, ma negò la nostra richiesta di limitarci a modificare la delibera del 2000, dicendo che era necessario voltare pagina rispetto alla precedente delibera, che l’opinione pubblica aveva ormai associato al caos, anche per mettere a tacere le proteste di residenti e commercianti del Centro Storico. Infine, negava la nostra richiesta di istituire un tavolo di confronto fra tutte le componenti coinvolte nel problema, attraverso cui individuare i problemi reali e trovare le soluzioni: questo perché – a suo dire – i tempi erano molto stretti e la nuova delibera doveva essere votata prima dell’estate successiva, e non c’era il tempo di iniziare un confronto così difficile tra parti interessate al momento molto distanti tra loro.

Dopo quel primo incontro ci fu tra noi artisti romani una lunga discussione su cosa fosse meglio fare, se continuare comunque quella trattativa o se, visto che Gasperini non aveva accolto tutte le nostre condizioni, era il caso di mettersi di traverso a quel progetto di delibera, iniziando un periodo di manifestazioni e battaglie. Si decise di continuare comunque la trattativa, dando fiducia a quell’uomo politico e alle sue apparenti buone intenzioni e promesse.

Oggi posso dire che è stato un grande, anzi grandissimo errore. In realtà eravamo stimolati da quella scommessa, dal lavoro che potevamo fare per migliorare l’arte di strada attraverso un nuovo regolamento. E fu un lavoro molto articolato e complesso.

Iniziammo un censimento dei tipi diversi di spettacolo operanti in strada – buskers con e senza amplificazione, circensi, fachiri, statue, mimi, teatranti, ecc. – cercando di differenziarli per categorie e tipologie in base alle diverse modalità di relazione con il pubblico, con il tempo e con lo spazio circostante. Individuammo quindi una differenza fondamentale tra gli spettacoli che lavorano con il cerchio e quelli che lavorano invece con il passaggio della gente, e ne individuammo i relativi e differenti limiti di tempo e di spazio, fondamentali per comprendere quali possano essere, nelle diverse tipologie, le modalità di alternanza e turnazione tra artisti; ci rendemmo conto poi che i posteggiatori, ossia coloro che suonano per la gente seduta ai tavolini esterni di bar e ristoranti (le cosiddette “terrazze”), sono una categoria a parte, ai limiti dell’arte di strada, che necessitava quindi di parametri completamente differenti e iniziammo a studiare le problematiche relative alle difficili interazioni che intercorrono tra questi e gli artisti che lavorano invece in piazza con il cerchio.

Non senza polemiche e difficoltà, individuammo delle norme di comportamento che tutti gli artisti avrebbero dovuto rispettare, tra cui ricordo:

– l’impegno a non fare pubblicità e a non offendere nessuno durante gli spettacoli, tantomeno le fedi religiose;

– l’impegno a non sovrapporsi mai acusticamente ad un altro spettacolo già iniziato;

– varie norme di sicurezza doverose soprattutto a chi fa fachirismo ed usa il fuoco, indicando anche quali sono i combustibili accettabili;

– il divieto di usare vernici e materiali indelebili per i madonnari;

– il divieto di coinvolgere animali e minori dentro gli spettacoli, a meno che non si rispettino alcune norme particolari, impostando la loro partecipazione sul gioco;

– per distinguere chi fa arte da chi fa questua, stabilimmo la norma che un artista che lavora a passaggio non deve mai tendere il cappello verso la gente che passa (ossia quello che in gergo si chiama “scollettare”), in quanto l’offerta deve essere data liberamente dal passante, senza nessuna forzatura, con il cappello posto rigorosamente a terra; diversamente, dentro lo spettacolo a cerchio, l’artista, se lo ritiene utile, può tendere il cappello verso gli spettatori anche facendo un giro, ma solo dopo aver mostrato loro la propria arte; e lo stesso vale per i posteggiatori.

Collaborammo con Legambiente a fare dei rilevamenti dell’impatto acustico degli spettacoli, anche in relazione a quello generale della città, e ragionammo sulle soluzioni possibili per disciplinare questo aspetto fondamentale, stabilendo che la rilevazione dell’intensità sonora andava eventualmente fatta non nel punto di emissione ma in quello di eventuale disturbo, ossia una finestra, la vetrina di un negozio, questo perché ogni luogo ha una propria dimensione acustica e la stessa emissione sonora provoca un disturbo ben diverso in luoghi differenti.

Facemmo poi un lungo e particolareggiato lavoro di mappatura di tutto il centro storico di Roma, segnando con colori diversi le piazze e le strade a seconda se erano adatte a un certo tipo di spettacolo piuttosto che ad un altro, se presentavano problematiche di impatto sonoro o meno, indicando quali sono i luoghi “critici” (Piazza Navona, Campo de’ Fiori, via della Lungaretta, Piazza di Santa Maria in Trastevere, Via del Corso) in cui c’è un evidente sovraffollamento di spettacoli e situazioni, dove quindi era necessario trovare soluzioni particolareggiate.

Gasperini ci fece anche delle proposte elaborate da lui: per esempio in ognuna delle piazze e strade critiche intendeva stabilire più “postoni”, ossia dei posti di spettacolo precisi, indicati con delle mappe sulla delibera, che andavano alternati in modo che non ci fossero mai due spettacoli di fila nello stesso punto, questo per non sovraccaricare di stress i residenti e i commercianti, e lasciare delle pause di silenzio; questa idea a noi andava anche bene, in linea di massima, e si discusse nel dettaglio, per ogni singolo luogo critico, di come posizionare e turnare i postoni.

Si discusse anche della proposta della F.N.A.S. di risolvere queste alternanze mediante un software che gestisse via web le turnazioni attraverso un meccanismo di prenotazione.

All’epoca non era mai successo di lavorare così dettagliatamente su un regolamento dell’arte di strada, di andare così in profondità nello studio delle problematiche e nell’ideazione di soluzioni, e questo ci stimolava tantissimo. Era però un lavoro molto duro, perché il mondo dell’arte di strada ha tantissime realtà e noi, indicando soluzioni che avrebbero condizionato la vita e il lavoro di tutti, volevamo anche rispettare tutti, sia gli iscritti sia i non iscritti al CooRAS; per questo ogni volta che elaboravamo le proposte durante le assemblee o con le mailing list, tramite alcune persone “strategiche” del CooRAS cercavamo di farne arrivare notizia anche a quegli artisti che non partecipavano al coordinamento per capire se andavamo a determinare criticità nei loro confronti, poi le presentavamo in riunione a Gasperini, e quindi dovevamo discutere di nuovo le sue eventuali controproposte. In finale eravamo noi che andavamo a parlare con Gasperini, quelli che “ci mettevano la faccia”, ossia che dovevano trasmettere agli altri se era il caso o meno di continuare la trattativa, di “fidarsi”, comunicando le intenzioni dell’Assessore al mondo degli artisti di strada romani. In qualche modo, a prescindere dal CooRAS che ci legittimava, ci muovevamo stretti in una morsa tra l’Assessore alla Cultura e gli altri artisti, che spesso su alcuni punti delicati s’irritavano e improvvisamente ci attaccavano in furenti polemiche che esplodevano e sembravano diffondersi nell’ambiente per poi, grazie ad un lungo e paziente lavoro di ricucitura, rientrare.

In questo feed-back continuo e faticoso, a volte si ricominciava tutto d’accapo, in quanto Gasperini periodicamente faceva rispuntare alcune proposte che erano già state scartate da noi; questo avveniva perché contemporaneamente, e senza darcene conto, lui portava avanti la trattativa anche con le altre categorie, in particolare le associazioni dei residenti e dei commercianti del centro storico. Di fatto non riuscimmo a valutare bene la faccenda, anche perché le nostre scelte erano il frutto di un confronto serrato con oltre cinquanta persone, con tante teste differenti tra loro. Il fatto che giocasse su più fronti contemporaneamente rendeva ai nostri occhi Gasperini un rebus, e avevamo dei problemi a fidarci di tutte le rassicurazioni e le promesse, anche allettanti, che continuamente ci metteva davanti.

Tutti insieme decidemmo di dare fiducia all’uomo Gasperini, prestammo fede alle promesse che ci faceva, lasciando che facesse come meglio credeva il lavoro politico con le altre componenti. Da parte nostra, il lavoro coinvolgeva tutti coloro che partecipavano attivamente al CooRAS. Ci eravamo divisi in commissioni: c’era la commissione per la mappatura del centro storico, quella per il sito web e la mailing list, quella per i rapporti con la stampa, quella per l’organizzazione di eventi, e quella che doveva andare a parlare con Gasperini, che poi eravamo il gruppo direttivo dell’associazione più alcuni soci “anziani”. Le polemiche non mancavano tra chi non si fidava di Gasperini o addirittura non si fidava di noi, ma, ripeto, noi ci mettevamo la faccia.

Di fronte al caos provocato dalla cattiva delibera Gasperini del 2012, Roma rinuncia a cercare una giusta regolamentazione e si chiude nel parossismo di un’intolleranza cieca ed ottusa. La delibera del I Municipio è indicata come “sperimentale”: il progetto dichiarato di coloro che ne sono promotori è quello di arrivare in breve tempo ad estendere tale proibizione a tutto il territorio abitato di Roma Capitale, parchi compresi”

La travagliata situazione dell’arte di strada a Roma, piombata nel disordine e nella negazione del valore e necessità della musica di piazza nella Capitale – come da antichissima tradizione – nel racconto/ documento di Daniele Mutino, pianista concertista e moderno cantastorie

Ogni tanto uscivano articoli sulla cronaca romana in cui Gasperini pubblicizzava la delibera che sarebbe presto stata fatta, e puntualmente le cose che diceva non corrispondevano per nulla agli accordi che stavamo prendendo nella trattativa, ma seguivano il filo coerente di quella prima bozza di delibera del 2009 per noi inaccettabile, riprendendone le soluzioni assurde e parlando dell’arte di strada sempre e solo come di un problema di ordine pubblico. Allora chiedevamo spiegazioni in merito a Gasperini il quale ogni volta ci diceva sorridendo che i giornalisti avevano costruito l’articolo riprendendo vecchie interviste e travisandole, ma che non dovevamo preoccuparci – “…la stampa è fatta così e non può essere censurata” – ma ci dava la sua parola d’onore che quel che era scritto sui giornali non aveva niente a che vedere con il nuovo percorso di condivisione che stavamo costruendo insieme.

Ad un certo punto però uscì, sempre sul solito quotidiano nazionale, un articolo che plaudeva all’Assessore alla Cultura Gasperini perché avrebbe finalmente fatto finire la movida degli artisti di strada che rovinano la vivibilità del centro storico; illustrava quindi come prossima alla votazione in Consiglio comunale la nuova delibera sull’arte di strada ed elencava tutte quelle misure che erano comparse anche nella prima stesura e che noi avevamo contestato: multe pesantissime, divieto per tutti gli strumenti a percussione e a fiato, e per tutti i tipi di amplificazioni, orari ridottissimi e meccanismi di turnazione assolutamente penalizzanti per chi vive di questo mestiere, istituzione di un albo e, a prescindere da qualsiasi regolamento, il riconoscimento a residenti e commercianti del diritto di mandarci via, chiamando la polizia municipale, ogni qualvolta si fossero sentiti disturbati dal nostro lavoro. Il fatto che ci mise in allerta era che però, stavolta, insieme a queste misure repressive erano citate anche alcune delle misure meno importanti proposte da noi, con tanto di virgolettati attribuiti proprio a Gasperini, il quale diceva anche che il regolamento di questa delibera era stato scritto, punto per punto, “a quattro mani” con gli artisti di strada, che poi evidentemente avremmo dovuto essere proprio noi! Non sembrava proprio essere questo un articolo datato a prima della trattativa…

Fummo presi d’assalto dai nostri colleghi romani, specie quelli non iscritti al Coo.R.A.S. che ci accusavano in pratica di avere venduto l’anima al diavolo.

Comunicammo quindi alla F.N.A.S. il nostro proposito di uscire dalla trattativa e di organizzare subito a Roma una grande manifestazione-spettacolo nazionale per protestare contro il progetto di Gasperini, ma la F.N.A.S. fece una cosa incredibile di cui difficilmente potrò perdonarli; per farci cambiare idea e salvare la trattativa coinvolse due importanti personalità dell’A.G.I.S. (Associazione Generale Italiana per lo Spettacolo) legate al mondo del circo che si proposero personalmente come garanti sull’onestà intellettuale di Gasperini.

Fu organizzato dalla F.N.A.S. un incontro all’Assessorato in cui queste due persone fecero da mediatori in un confronto tra noi e Gasperini al quale prese parte addirittura il Direttore della F.N.A.S. Alessio Michelotti, arrivato appositamente a Roma dal nord Italia. Alessio Michelotti, al tempo, rappresentava più di chiunque altro la F.N.A.S. in quanto aveva una carica di direttore permanente, non soggetta ad elezioni, che sopravanzava anche la carica di presidente, che era invece eletta periodicamente dagli iscritti.

Alla fine cademmo nel tranello come polli, tanto “ce la intortarono” che ci sentimmo ancora una volta rassicurati dalle parole di Gasperini e di tutti gli altri, compresi i “cugini” della F.N.A.S. Oltre ogni evidenza decidemmo di fidarci ancora ed andare avanti nella trattativa, ormai prossima alla conclusione, e, ripeto, prendemmo questa decisione ancora una volta mettendoci la faccia, facendoci di fatto noi garanti sulla parola d’onore di Gasperini e degli altri, davanti agli occhi di tutti gli artisti di strada romani. Ma i fatti ci diedero torto.

Nel momento in cui si stava facendo la trattativa con Gasperini, questo software non era ancora stato mai presentato ed era proprio Roma la città candidata a farlo esordire. Gasperini era molto interessato ad esso, e, anche nell’articolo di giornale di cui abbiamo detto, ne parlava ampiamente come una possibilità concreta.

Anche noi del Coo.R.A.S. ne avevamo discusso, ma gli artisti su questa possibilità si erano decisamente spaccati, con polemiche roventi, e avevamo deciso di mantenere una posizione interlocutoria, dichiarandoci né favorevoli né contrari. Comunque, con Gasperini e con la F.N.A.S., nella persona di Luigi Russo, rimanemmo in parola che si sarebbe potuto pensare ad adottare un software solo in seguito ad una sperimentazione di almeno due interi anni, da fare il primo anno su un’unica singola piazza, e, solo se questa sperimentazione andava bene, da replicare poi per un altro anno, sempre come sperimentazione, su varie piazze critiche del centro storico, prima di essere eventualmente adottato in forma stabile; ma concordammo che questa sperimentazione sarebbe potuta partire solo ed unicamente a condizione che le regole di gestione e funzionamento delle prenotazioni nel software fossero state studiate e determinate insieme a noi artisti romani, e, dopo i due anni di sperimentazione, fosse stato dato a noi artisti romani anche il diritto di bocciare il progetto o modificarlo (prolungandone quindi i tempi di sperimentazione).

Per noi “faceva giurisprudenza” il precedente della delibera del 2000, quindi, per qualsiasi intervento legislativo sull’arte di strada, il modello a cui le amministrazioni e la stessa F.N.A.S. dovevano fare riferimento era quello di confrontarsi approfonditamente con i coordinamenti di artisti di strada locali; e questo valeva anche per il software! Ritenevamo che gli artisti, in quanto agiscono quotidianamente sul territorio, ne conoscono meglio di chiunque le problematicità e le dinamiche, e quindi avrebbero dovuto essere al centro sia della progettazione software, sia sulla decisione riguardo all’opportunità o meno di adottarlo. Certo, il confronto meticoloso con una realtà eterogenea e tendenzialmente anarchica come quella degli artisti di strada, e le due lunghe ed incerte fasi di sperimentazioni previste, avrebbe determinato tempi sicuramente lunghi, ma questo rientrava nella prospettiva di uno strumento che doveva essere concepito non per essere al servizio di un business o dell’agone politico, ma del bene comune. Ora, il software poi creato dalla F.N.A.S. per Milano, che si chiama “Strada aperta”, è stato realizzato inizialmente senza alcun confronto con gli artisti di strada milanesi, per essere considerato dalla F.N.A.S. già operativo dopo solo sei mesi di sperimentazione. I rischi di questo tipo di approccio sono molto grandi e di impatto devastante sull’arte di strada.

Qualsiasi meccanismo di prenotazione via web, se non viene accuratamente concepito e strutturato sulla base di una profonda conoscenza della realtà lavorativa specifica del territorio e delle diverse modalità di lavoro adottate dagli artisti di strada nella loro eterogeneità, di fatto fornisce in modo troppo semplice e generico i permessi per lavorare, ed è quindi molto attrattivo per gli artisti improvvisati, rispetto ai quali non può essere correttamente selettivo: le piazze del centro storico vengono quindi invase da artisti discutibili, karaoke spesso sgraziati, stonati, con volumi altissimi, gente che, senza nessuna abilità o senza una profonda motivazione artistica, si traveste da Paperino, Topolino, da Puffo, o si mette a fare il mago sfoggiando i trucchi appena comprati in cartoleria. Una marea di artisti improvvisati e fastidiosi che, attratti dalla possibilità di esibirsi occasionalmente davanti a tanta gente sugli scenari prestigiosi del centro storico, tolgono spazio a quegli artisti che fanno la strada come scelta di vita, facendo così crollare il livello della proposta spettacolare, spezzando il legame di fiducia e stima tra artista di strada e territorio, fondamentale per chi trova il proprio pane nell’arte di strada.

Altra possibile criticità di un software concepito così dall’alto, senza radicamento sul territorio, è che il gestore, in questo caso la F.N.A.S., non riuscendo a soddisfare l’intera esorbitante quantità di richieste di prenotazione, può cadere nella tentazione di far lavorare con più facilità i propri iscritti, o addirittura di prevedere che si possa accedere attivamente alla piattaforma web solo previa iscrizione alla propria associazione, cosa che finirebbe per trasformare il gestore in una sorta di lobby privata, che in poco tempo sarebbe in grado di aumentare in modo esponenziale i propri iscritti, con la possibilità di trarne non solo un vantaggio economico, ma anche il relativo peso politico. Questo peso politico, se associato alla devastazione provocata dal software, vorrebbe dire la fine dell’arte di strada come noi l’abbiamo conosciuta e la sogniamo: bella, utile, nobile, rispettosamente libera.

Alessio Michelotti conosceva bene la nostra posizione ma questo non gli impedì, nel 2013, di organizzare proprio a Roma, all’AGIS, un convegno dedicato proprio alla promozione di Strada Aperta, alla cui vigilia ci scrisse una lettera in cui affermava che noi non potremo mai essere rappresentativi di coloro che hanno diritto a fare spettacolo nelle strade e nelle piazze di Roma, in quanto questo diritto non appartiene solo ai professionisti, ma a tutti, alle scuole di musica e teatro, ai dilettanti, e anche alle casalinghe… Bello! Giusto! Ma a quanto pare solo la sua F.N.A.S. poteva essere rappresentativa sempre e comunque. D’altra parte, tutte le volte che, nei convegni e nelle riviste di F.N.A.S. e Terzo Studio, era stata ricostruita la storia recente dell’arte di strada, puntualmente si era dimenticato o minimizzato il ruolo giocato dalla delibera romana del 2000, mentre era stato ben valorizzato il loro operato, in modo da potersi spacciare monopolisticamente come le uniche realtà associative di riferimento per l’arte di strada in Italia. Noi sappiamo che ogni ricostruzione storica di un’identità, ne definisce valori e riferimenti, e dimenticare che a Roma, in seguito alle pressioni della gente comune, un movimento di artisti di strada legati ad un territorio ha scritto la prima delibera sull’arte di strada in una grande città italiana, non può essere una semplice svista o distrazione: oltre all’evidente intento monopolistico, quel che si nasconde è il valore delle istanze della gente comune, come veri garanti di un diritto che non è tanto degli artisti ad esibirsi, quanto di tutti a vivere gratuitamente l’arte e la musica come libera espressione nei luoghi d’incontro.

L’epilogo è stato terribile. Nell’aprile 2012 veniva votata in Campidoglio la nuova delibera sull’arte di strada, in cui Gasperini, mancando in modo clamoroso alla parola d’onore dataci, manteneva tutte le pessime promesse fatte ai giornali, aggravandole con un inasprimento delle sanzioni previste, aggiunto da lui in extremis, il giorno stesso in cui si votava, come misura punitiva nei confronti delle nostre vibranti proteste in piazza del Campidoglio. Da quel giorno il Coo.R.A.S. viene messo in naftalina, in quanto come strumento associativo non era più adatto alla nuova fase di manifestazioni e lotte che si apriva. C’era infatti la necessità di tornare ad una realtà di movimento, e così, nel Teatro Valle Occupato, nasce spontaneamente Strada Libera Tutti che, scegliendo la via della contrapposizione frontale contro la giunta Alemanno, raccoglie le adesioni di quasi tutti gli artisti di strada romani e di molte altre persone che hanno a cuore la questione. Strada Libera Tutti occupa più volte le piazze del centro storico con manifestazioni-spettacolo, vince un ricorso al T.A.R. contro la delibera Gasperini, riuscendo ad ottenere la cancellazione dell’articolo indecente che vietava l’uso nelle strade e nelle piazze di Roma di tutti gli strumenti a fiato e a percussione e d’ogni tipo di amplificazione, anche se non riesce a bloccarne gli altri aspetti negativi.

Innanzitutto, la non chiarezza, la natura contraddittoria di molti articoli, che consegna nuovamente all’arbitrio delle forze dell’ordine la scelta se farti esibire o meno. Poi la parte estremamente penalizzante riguardante orari, turni, divieti; in particolare l’obbligo a doversi iscrivere annualmente ad un registro, indicando la scelta di un unico posto in cui esibirsi per tutto l’anno. Ovviamente l’iscrizione non fornisce alcun diritto, non mette al riparo dal fatto di potere essere comunque cacciati in qualsiasi momento senza particolari motivazioni, e soprattutto, obbligando a scegliere un unico luogo in cui esibirsi, cancella il carattere itinerante dell’arte di strada, fondamentale anche per ridurne l’impatto negativo sul territorio. Diciamolo chiaramente: per risolvere il problema del disturbo legato a comportamenti scorretti da parte di qualche artista irrispettoso, non era certo necessario creare da zero una nuova delibera, sarebbe bastato applicare fino in fondo il regolamento della delibera del 2000, magari aggiornandola in qualche sua parte, o, in alternativa, fare semplicemente riferimento alla legislazione ordinaria in tema di disturbo della quiete pubblica.

Di fatto, come prevedibile, grazie alla delibera di Gasperini la situazione dell’arte di strada nel centro storico della capitale è sprofondata in una dimensione di caos sempre maggiore che ha inasprito molto l’intolleranza degli artisti tra di loro, e dei residenti e commercianti nei confronti degli artisti. I vigili stessi si sono mostrati molto critici nei confronti di questa delibera il cui astruso regolamento è stato realizzato senza domandare nemmeno a loro un parere.

In campagna elettorale Ignazio Marino prese posizione in modo molto chiaro sulla questione, con una lettera pubblica rivolta a Strada Libera Tutti, davvero molto bella, che ci fece ben sperare. Poi, però, nel corso del suo governo, la delibera del 2012 non è stata più modificata, ed è ancora oggi in vigore. C’è stata, al tempo della giunta Marino, la proposta di nuova delibera scritta dal consigliere comunale Gianluca Peciola di SEL, ma, un po’ per l’opposizione di alcuni consiglieri del I Municipio, e soprattutto per gli esiti negativi a livello nazionale dell’alleanza tra SEL e PD, nulla si è poi concretizzato. La delibera del 2012 non è stata più toccata nemmeno negli anni successivi, con le varie guide commissariali e politiche della città. Recentemente la giunta di Virginia Raggi ha mostrato interesse alla questione, e ha affidato alla Commissione Cultura di Roma Capitale il compito di analizzare una proposta di nuova delibera scritta da noi artisti romani a cappello. In questa nostra proposta è confluito tutto il lavoro fatto nelle trattative precedenti con l’amministrazione capitolina, ma essa è anche e soprattutto frutto di un lungo confronto collettivo tra di noi artisti, non sempre facile da portare avanti. Sempre negli uffici della Commissione Cultura di Roma Capitale si trova anche un altro documento redatto dagli artisti di strada romani, in cui viene analizzata criticamente, punto per punto, tutta la delibera Gasperini in vigore, evidenziandone le incongruenze e le devastanti criticità e chiedendone un’immediata invalidazione.

Dall’agosto 2018 però, è entrata in vigore una delibera locale del I Municipio con cui si proibisce qualsiasi tipo di emissione sonora musicale in molte delle più belle piazze del centro storico di Roma, a qualsiasi ora ed in qualsiasi modalità. Di fronte al caos provocato dalla cattiva delibera del 2012, Roma rinuncia a cercare una giusta regolamentazione e si chiude nel parossismo di un’intolleranza cieca ed ottusa. La delibera del I Municipio è indicata come “sperimentale”: il progetto dichiarato di coloro che ne sono promotori è quello di arrivare in breve tempo ad estendere tale proibizione a tutto il territorio abitato di Roma Capitale, parchi compresi. Prima firmataria ne è la consigliera radicale ecologista Nathalie Naim che, insieme ad alcune associazioni di residenti poco rappresentative ma molto influenti, sta conducendo una vera e propria battaglia politica contro la musica nei luoghi pubblici, nell’idea, dichiarata espressamente, che qualsiasi tipo di musica nei luoghi pubblici sia di per sé un grave attentato alla salute delle persone, in quanto costituirebbe, secondo loro, la principale fonte di inquinamento acustico della città. Non il rumore delle automobili ma… la musica! Un progetto folle e involutivo di repressione incondizionata della musica nei luoghi dove la gente si incontra, che prende forma proprio nella città che nel mondo ha forse la maggiore tradizione documentata di musica di piazza! Prima ancora delle Farse Atellane, spettacoli musicali arrivati a Roma dalla Campania nel IV secolo avanti Cristo, ci sono infatti le Leggi delle XII tavole, che addirittura due secoli prima, nel VI secolo, puniscono coloro che cantano poemi satirici nei luoghi pubblici, testimoniando come, a quel tempo, questo tipo di espressione musicale e poetica fosse un fenomeno di portata tale da dovere essere preso in considerazione in modo specifico nel redigere una delle prime legislazioni della Storia. Nei secoli, poi, Roma è stata spesso e volentieri soggetto di pittori e disegnatori che, con le loro opere, hanno documentato costantemente la presenza di spettacoli di piazza; non ultimi Victor Turner e Bartolomeo Pinelli, che, nella prima metà del XIX secolo, ci hanno raffigurato una Roma piena di artisti di strada di ogni genere (musicisti itineranti, burattinai, cantastorie, acrobati, danzatori, perfino domatori di orsi e serpenti), e, soprattutto, praticamente invasa dalla musica!

Certo la musica di piazza, per esprimersi correttamente, deve essere protetta da un’adeguata regolamentazione, ma non può essere considerata come causa di malattia, perché è piuttosto uno strumento di cura! Per contrastare il patologico progetto repressivo insito nella delibera del I Municipio, gli artisti di strada romani, nel settembre 2018, hanno rimesso in piedi il movimento Strada Libera Tutti, sollecitando il sostegno dell’opinione pubblica ed organizzando un nuovo ricorso al T.A.R., nientedimeno che con il sostegno della F.N.A.S.! Un fatto decisamente positivo avvenuto in questi ultimi anni, riguardo all’arte di strada in Italia, è infatti il rinnovamento radicale della F.N.A.S. che nel 2015, per la prima volta, viene finalmente posta sotto la guida di un artista di strada, che oltretutto lavora molto anche a cappello: il musicista Beppe Boron. Tutto nasce dal ricorso legale effettuato da un altro artista di strada, il fiorentino Walter Conti, che denuncia alcune irregolarità avvenute durante le elezioni del comitato direttivo della F.N.A.S., e con grande convinzione porta in tribunale la questione, vincendo il ricorso e determinando nuove elezioni, in cui viene eletto presidente Beppe Boron. Per tutta risposta Alessio Michelotti e Terzo Studio escono dalla Federazione e fondano per conto loro un nuovo organismo associativo, dimostrando – come si era abbondantemente già capito – di non avere alcuna intenzione di confrontarsi paritariamente con gli artisti di strada. La nuova F.N.A.S. di Beppe Boron mette subito mano al software di Milano, e, in collaborazione con gli artisti di strada milanesi, ne ridefinisce struttura e meccanismo; ma anche in altre città italiane, Roma compresa, si dimostra molto attiva nella tutela del libero esercizio dell’arte di strada e della tradizione del cappello.

Resta l’amarezza per il fallimento nella trattativa con Gasperini, perché tutti i problemi attuali e degli ultimi anni vissuti dagli artisti di strada a Roma sono derivati da quella delibera: siamo stati troppo ingenui e superficiali. Non posso pensare che nella delibera del 2012 ci sono addirittura delle parti di testo scritte di persona da me e dagli altri del Coo.R.A.S.! Per proporre una qualsiasi delibera i legislatori devono confrontarsi con i rappresentanti delle categorie sociali coinvolte, che, nel caso della delibera sull’arte di strada, eravamo evidentemente anche noi; prendendo parte agli incontri con Gasperini, firmando le presenze, non ci siamo resi conto che di fatto abbiamo legittimato giuridicamente la sua nefasta delibera. A Gasperini non interessavano né le nostre proposte né la nostra visione, interessava solo la firma delle nostre presenze per poter affermare che la sua delibera era stata correttamente scritta attraverso il confronto con i rappresentanti degli artisti di strada. Nella sentenza del T.A.R. relativa al nostro ricorso c’è scritto che le altre contestazioni da noi sollecitate non sono ammissibili in quanto, come risulta ufficialmente dalle nostre firme di presenza, noi abbiamo preso parte alla scrittura della delibera e non possiamo quindi contestarla nel suo complesso. Noi portavoce del Coo.R.A.S. ci siamo presentati ingenuamente davanti a Gasperini con un’idea di bene comune: andavamo a quegli incontri confidando di poter contribuire ad una corretta regolarizzazione dell’arte di strada, nell’idea che da essa potesse svilupparsi una città più umana, in cui negli spazi pubblici fosse possibile per tutti condividere serenamente e gratuitamente il divertimento e l’arte. Di fronte però avevamo un politico di professione, oltretutto in una fase di ascesa della propria carriera, quindi anche rampante… Nel suo giudizio Gasperini sa che noi artisti di strada non siamo lì per un business ma per un sogno e, dal momento che questo sogno è – come tutti i sogni portati avanti con costanza nella vita – ormai legato indissolubilmente ad un bisogno, ci giudica sotto il segno di una mancanza di integrazione nel sistema, e decide che socialmente non contiamo nulla. Non ci considera interlocutori degni, ci irride prendendosi gioco di noi, ci manca di rispetto e di parola. Gasperini, quelli della vecchia F.N.A.S., gli pseudo giornalisti della cronaca locale, alcuni commercianti e alcuni residenti del centro storico di Roma (comunque una minoranza), hanno dimostrato di considerarci come dei poveracci, gente da poco, miserabili. C’è da dire anche però che tantissima gente della strada, e tra essi anche residenti, commercianti, giornalisti, politici, dimostrano ogni giorno di riconoscere il nostro valore riempiendo i nostri cappelli, non solo di soldi, ma anche di sorrisi e complimenti accorati, dandoci di che vivere in ogni senso. Sono loro la nostra forza. Il punto della mia amarezza però non è questo: è che, pur essendo persone navigate nella vita della strada, durante la trattativa del 2012 non abbiamo saputo riconoscere nei nostri interlocutori il disprezzo che avevano per noi, siamo caduti nel tranello dei sorrisi e delle belle parole, ci siamo crogiolati nel sogno di far bene, abbiamo peccato in superficialità e vanità, a danno non solo nostro, ma di tutti. Ecco l’amarezza.

Se vogliamo riflettere anche in modo più distaccato e, per quanto possibile, oggettivo, cercando di partire da un punto di onestà intellettuale, si deve prendere in considerazione anche la complessità delle cose: la comprensione reale degli incontri umani in generale, e quindi anche di questo incontro negativo tra noi e Gasperini, non si può mai esaurire nella visione in bianco e nero di una dicotomia radicale, che si esaurisca in un’opposizione irriducibile di valori ed identità.

Per la comprensione del nostro fallimento non basta sbandierare la nostra ingenuità e il nostro idealismo, contrapponendoli alla ferocia delle belve della politica: in parte questo è vero, ma non è tutto, e c’è sempre un’autocritica da fare. In realtà, se ci si pensa, non è che noi artisti di strada non abbiamo fatto errori nel corso della trattativa, esprimendo, in taluni momenti, anche valori discutibili, per esempio nell’irascibilità interna al nostro movimento, che ci ha spesso reso divisi sulle rivendicazioni e sui percorsi da adottare, portandoci ad esasperare spesso i toni nel confronto interno, e procurando, in noi delegati che incontravano Gasperini, una fragilità, una perdita di energie e quindi di “presenza”, un disordine che è purtroppo emerso in alcuni momenti delicati della trattativa, e che ha avuto sicuramente un suo peso nel fallimento della stessa.

Io sono convinto che lo stesso Gasperini, insieme ai collaboratori che lo hanno supportato, non abbiano avuto sempre una percezione chiara di quale dovesse essere la soluzione del confronto, e sicuramente saranno stati portati a scegliere la loro inqualificabile condotta anche ravvisando in noi i sintomi di quella fragilità di cui ho appena detto, in particolare quando ad un certo momento cruciale si è verificato uno scollamento tra noi e la F.N.A.S.; ed è chiaro che per persone che ragionano come loro, la caoticità equivale ad inaffidabilità.

D’altra parte, se pensiamo bene a quel che abbiamo fatto, poi, dobbiamo rammentare che tutto il percorso della trattativa con Gasperini procedeva nel tentativo di non radicalizzare ma umanizzare le nostre diversità reciproche; noi abbiamo veramente cercato un punto reale d’incontro con questa figura, sebbene si fosse estremamente distanti finanche nelle identità politiche personali: è stata questa quasi una sfida ai paradossi della politica, un atto di speranza.

E il fatto che tutto questo sia miseramente fallito non significa che non fosse la cosa giusta da fare.

(fine)

(Tratto da Storia di un cantastorie a cura di Maria Lanciotti, II edizione aggiornata dicembre 2018 – Edizioni Controluce)


1 commento

Italo · Novembre 24, 2019 alle 9:23 am

Una storia lunga e travagliata in cui si vede che gli “artisti di strada” non hanno avuto mai vita facile e la politica spesso li ha usati. Resta, ieri come oggi, l’impressione comunque di un movimento che non si fa mettere i piedi in testa facilmente ed è pronto a contrattaccare continuando a essere quello che tutti gli artisti sono, ovvero vivi, creativi e sempre in mezzo a tutti nella strada.

I commenti sono chiusi.

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