Chi ha paura degli artisti di strada?

Pubblicato da Italo il

Riproponiamo l’articolo scritto dalla giornalista Arianna Di Cori il 26 Febbraio del 2015 per il quotidiano La Repubblica

Costretti o per scelta, identikit di un fenomeno

di ARIANNA DI CORI

In parte spinti dalla crisi, in parte come scelta di vita, il numero di musicisti, giocolieri, mimi e funamboli che si esibisce nelle piazze è in continua crescita. Una tradizione dal passato glorioso che ha formato autentiche star come Dario Fo o Philippe Petit. Eppure, a differenza che nel resto d’Europa, le città italiane sembrano voler fare di tutto per tenere lontani questi spettacoli vissuti quasi sempre come un problema di ordine pubblico

di ARIANNA DI CORI , video di MAURIZIO TAFURO, con un commento di ERNESTO ASSANTE


ROMA – “La strada mi regala delle emozioni impagabili. Alla fine di ogni spettacolo mi sento carico dell’energia degli spettatori e loro della mia. È uno scambio a cui non rinuncerei mai, per nulla al mondo”. Daniele Sardella è un artista di strada, faceva l’ingegnere ma ha mollato tutto. Una scelta di vita. A pensarla come lui sono sempre più persone. L’arte di strada, in tutte le sue forme, dai primi anni del 2000 ha visto una crescita esponenziale. In Italia sono almeno 10mila i musicisti, giocolieri, acrobati, clown, danzatori, mimi, madonnari, cantanti e altro che si esibiscono tra strade, piazze cittadine ed eventi organizzati in tutta la Penisola. Solo a Roma e a Milano, tra il 2013 e il 2014, più di 3000 performer si sono iscritti agli speciali registri comunali.

Daniele si asciuga qualche goccia di sudore dalla fronte, accende una sigaretta. Il fumo disegna rivoli bianchi nel cielo azzurro di una luminosa giornata d’inverno. Alcuni passanti gli lanciano un’occhiata incuriosita mentre si sfila il gilet rosso, indossa un t-shirt e ritorna ad essere uno dei tanti anonimi frequentatori del lungomare. Pontile di Ostia, fino a pochi minuti fa un centinaio di persone erano strette intorno a lui, tra risate e applausi. Alcuni bambini non vogliono allontanarsi, lo tirano per un lembo dei pantaloni e gli chiedono insistentemente quando ricomincerà. “Per oggi ho finito,” dice loro sorridendo.

IL MEGLIO DEGLI ARTISTI DI STRADA SU REP TV

Scelte di vita. I suoi spettacoli attraggono grandi e piccoli. Sono una fusione di clownerie, acrobazia e danza. Grazie al suo mestiere ha viaggiato per l’Italia e l’Europa, tra festival, piazze e fiere.  Ma è solo dal 2001 che Daniele lavora esclusivamente come artista di strada. “Subito dopo la laurea in ingegneria a Catania avevo trovato un buon lavoro a Roma. Avevo ottime possibilità di crescita. Tutti si aspettavano che sarei diventato un 40enne con lo stipendio a 4 zeri. E invece eccomi qua, a 40 anni, a girare col camper a fare spettacoli”. La sua è stata una scelta ponderata, venuta dopo un “periodo di prova”. “Il weekend mi lasciavo alle spalle l’ufficio e i computer, prendevo le clave e andavo a piazza Navona a esibirmi. Non ero ancora bravo, ma ho capito che potevo sopravivere con questo mestiere. Quando mi sono licenziato i miei genitori mi hanno preso per pazzo. Ma oggi capiscono quanto questa scelta mi abbia giovato. La loro unica preoccupazione continua ad essere quella della mancanza di una pensione, ma tanto ormai la pensione è sempre più un miraggio”, scherza.

“Tante regole e poche tutele”, i racconti degli artisti di strada

“Un tempo gli artisti di strada in Italia si contavano su una mano. Nelle grandi città c’erano 4-5 persone fisse, perlopiù musicisti. Ogni tanto arrivava qualcuno da fuori, ma restava un universo di nicchia: ci conoscevamo tutti – ricorda Claudio Montuori, in arte Ami Buz, polistrumentista romano sessantenne con 30 anni di esperienza di strada – In quegli anni i pochi festival erano un’occasione per ritrovarci, oggi nemmeno su Facebook ci conosciamo tutti”.

Così un euro si moltiplica per sette. Alcuni festival di arte di strada come il Mercantia di Certaldo,  il Buskes Festival di Ferrara,  l’Ibla Buskers Festival di Ragusa, Artisti in Piazza di Pennabilli, Il Festival Mirabilia di Fossano hanno una eco che va al di là dei confini nazionali e attraggono milioni di spettatori. Ma in tutta Italia fioriscono eventi di questo genere, se ne contano più di 200 l’anno e in tutti i casi si tratta di occasioni di apertura e di turismo. Si calcola un indotto sul territorio da 3 a 7 euro per ogni euro investito in questo tipo di manifestazioni. “Ma al di là dei numeri l’arte di strada è un patrimonio che qualsiasi istituzione dovrebbe promuovere e valorizzare”, spiega Luigi Russo, presidente ad interim della Fnas, la Federazione nazionale arte di strada italiana. “L’arte di strada va incontro alla gente, ai giovani, alle persone che hanno meno occasione di frequentare i teatri o le sale da concerto, crea conoscenza, interessi e passioni che possono invogliare anche a frequentare i luoghi più tradizionali della cultura. E crea occasioni di lavoro”.

Dal Fus solo spiccioli. “L’idea stessa di arte di strada è legata all’idea del viaggio, dello scambio e dell’accoglienza. Ma siamo consapevoli che in alcune realtà, come città metropolitane, o quelle interessate da forti flussi turistici, bisogna fornire all’amministrazione strumenti atti a gestire fenomeni che interessano centinaia e centinaia di artisti”.  Dice ancora Luigi Russo della Fnas. Nata nel 1998 per riunire tutte le realtà del settore (artisti, compagnie, organizzatori, promotori), la Fnas ha cercato negli anni di fare da ponte con le pubbliche amministrazioni per far sì che la categoria ottenesse un maggiore riconosciumento sul piano legale e giuridico. Ci è riuscita, in parte, per quello che riguarda il finanziamento dei festival (dei quali, tra l’altro, vari membri del direttivo della Federazione sono organizzatori  –  ad esempio Luigi Russo è direttore organizzativo dell’enorme Ferrara Buskers Festival, 370mila euro di budget per indotti diretti e indiretti “di qualche milione”). Oggi lo spettacolo di strada, è contemplato dal Fus (Fondo unico per lo spettacolo). Tuttavia quella degli artisti di strada l’unica categoria che non può ottenere sostegno per l’esercizio e la creazione artistica, ma solo per la promozione di quest’ultima. E nonostante un aumento di fondi, raddoppiati rispetto al 2013 (da 83 mila a 125 mila euro), nel 2014 il settore ha ricevuto solo lo 0,031% dei 406 milioni elargiti, pur trattandosi, in termini di diffusione, del 20% dell’offerta di spettacolo dal vivo su territorio nazionale.

150 scuole. La nascita di numerose scuole e corsi di arti circensi (oltre 150 in Italia) ha contribuito ad avvicinare tanti giovani a queste discipline. I tre istituti più accreditati, la Cirko Vertigo e la Flic a Torino, e la Scuola Romana di circo, ogni anno formano circa un migliaio di giocolieri, trampolisti, trapezisti, arealist, verticalisti professionisti. “Circa il 90% dei ragazzi che passano dalle scuole lavorano anche come artisti di strada, magari d’estate, per pagarsi i corsi, o in attesa di trovare lavoro presso compagnie, la maggior parte delle quali si trova all’estero, però – spiega Catia Fusciardi,  direttore della Scuola romana di circo – La strada resta la migliore palestra per mettere a frutto le tecniche imparate a scuola e sviluppa le capacità di relazione col pubblico, è un passaggio naturale”.

In strada per necessità. C’è anche chi si avvicina all’arte di strada per necessità. “I teatri chiudono, le orchestre licenziano, e noi ci ritroviamo senza lavoro”, racconta Micol Picchioni, arpista diplomata al conservatorio. Prima arpa dell’orchestra giovanile Luigi Cherubini diretta dal Maestro Riccardo Muti, dopo aver fatto tournée in tutto il mondo, da un anno e mezzo è una presenza fissa a Piazza Navona. “All’inizio è stata dura. Con la mia formazione accademica non avrei mai pensato di arrivare a questo. Ma non riuscirei a sopravvivere solo insegnando nelle scuole di musica e facendo occasionalmente concerti. E poi – conclude Micol – la strada è l’unico modo che ho per poter suonare tutti i giorni davanti a un pubblico”.

Artisti o fannulloni? Nonostante un numero sempre maggiore di persone che si avvicinano a questa modalità di esibizione, rimane un problema di riconoscimento del valore dell’arte di strada sotto il profilo artistico, culturale, sociale ed economico da parte della pubblica amministrazione italiana. La categoria non è riconosciuta da una legge nazionale e nella maggior parte dei casi gli artisti di strada sono ancora vissuti come un problema di ordine pubblico. Per questo sono molti a scegliere di emigrare in paesi dove questa forma di intrattenimento è tutelata dalla legge. “È soprattutto una questione di considerazione sociale – dice Alessandro, 26 anni, giocoliere emigrato a Bruxelles nel 2011 – Qui in Italia gli artisti di strada vengono visti come poco più che dei mendicanti, lì ti considerano un artista a tutti gli effetti”. In Belgio, come in Francia, gli artisti di strada rientrano nella categoria degli “intermittenti dello spettacolo” e hanno diritto ad incentivi per la formazione, la creazione di spettacoli, oltre che un sussidio di disoccupazione. “Ma c’è una cosa mi manca dell’Italia – conclude Alessandro – è la possibilità di esibirmi per le strade a offerta libera, il cosiddetto spettacolo ‘a cappello’. Al nord non esiste una cultura in questo senso. E l’energia che ti dà un cerchio di persone di tutte le estrazioni sociali che per qualche minuto si dimenticano dei loro impegni quotidiani per godere di uno spettacolo spontaneo, è una sensazione bellissima che non ha prezzo”.

Più spettacoli meno criminalità. Nel 1993 La sociologa statunitense Susie J. Tanenbaum, dopo aver studiato per un decennio i buskers di New York, ha concluso che nei lughi dove sono presenti musicisti ed artisti di strada, gli indici di crminalità tendono a scendere; inoltre la loro presenza tende allevia lo stress nelle zone commericali. Nel 1997 Antanas Mockus, professore universitario diventato sindaco o di Bogotà, portò avanti un curioso esperimento: assoldò dei clown al posto dei vigli urbani e li mise a dirigere il caotico traffico locale. All’epoca a Bogotà si registravano 4500 omicidi l’anno, 12 morti al giorno per 5 milioni di persone. I clown prendevano in giro gli automobilisti maleducati e danzavano o regalavano un fiore a quelli che rispettavano il codice della strada. I cittadini si scoprirono più spaventati dall’idea di essere derisi che dalle multe dei vigili. E, straordinariamente, nel giro di una settimana non solo il traffico si regolarizzò, ma calò anche il numero di omicidi.

Trattati come un problema in troppe città

di ARIANNA DI CORI
ROMA – Decine di musicisti affermati sono partiti dalla strada da Rod Stewart a Tracy Chapman, o attori come Robin Williams e Pierce Brosnan. Ma forse il più celebre artista di strada della storia è stato Benjamin Franklin. Il geniale politico, inventore, scienziato e scrittore statunitense da adolescente andava a decantare le sue poesie per le strade di Boston, con grande successo di pubblico. La sua esperienza contribuì a rafforzare in lui i principi di libertà di parola e di espressione che si tramutarono nel primo emendamento della Costituzione americana. Nonostante questo la prima legge nei confronti della categoria è tutt’altro che tollerante. La troviamo nell’antica Roma del 450 avanti Cristo, tra le leggi delle XII tavole. Risulta proibito eseguire in pubblico una parodia o un canto diffamatorio, pena la morte.

Il permesso del signorotto. Per secoli l’artista che intendeva esibirsi in un grande centro abitato chiedeva il permesso all’autorità del luogo. Alcuni spazi sono storicamente considerati “piazze degli artisti”. Una di queste è piazza Navona a Roma. Un permesso datato 23 Luglio 1778 recita: “Eccellenza, Antonio Blasco Calabrese ore umo dell’Eccza vostra divotamente la supplica di volerli concedere la Necessaria licenza di potere Rappresentare al pubblico in questa Città il Ballo sopra la corda lenta ed il volo essendo la sua arte per procaciarsi neccesariamente il pane; spera essere esaudito e pregherà per la conservazione di Vostra Eccellenza”.

Oggi, gli artisti di strada mantengono inalterato lo spirito di un tempo. Offrono occasioni di svago e aggregazione a titolo gratuito, senza pubblicità, in cambio di un obolo facoltativo. Con la loro storia millenaria sono indissociabili dal centro di una città. La particolarità dell’arte di strada rispetto al teatro, l’opera, il cinema, e le altre categorie dello spettacolo è che si tratta dell’unica forma di intrattenimento che non richiede particolari strutture. Per esercitare “a cappello” ossia a libera offerta, nelle strade e nelle piazze, basta solo l’artista stesso e il pubblico casuale.

Le star che hanno iniziato in strada

1 di 18 Immagine PrecedenteImmagine SuccessivaSlideshow

{}

 
Ma le cose non sono così semplici. Fino al 2001 l’unico testo di legge che contemplava la categoria degli artisti di strada era l’articolo 121 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, datato 1931. Accorpava tutti i mestieri girovaghi (la maggior parte dei quali, come i lustrascarpe e i cenciaroli, sono scomparsi ai giorni nostri) e obbligava chi li esercitasse a registrarsi presso un ufficio preposto nel Comune di residenza. “[…] non può essere esercitato il mestiere ambulante di venditore o distributore di merci, generi alimentari o bevande, di scritti o disegni, di cenciaiolo, saltimbanco, cantante, suonatore, servitore di piazza, facchino, cocchiere, conduttore di autoveicoli di piazza, barcaiuolo, lustrascarpe e mestieri analoghi, senza previa iscrizione in un registro apposito presso l’autorità locale di pubblica sicurezza [….] In tutti i casi è vietato il mestiere di ciarlatano”.

Vuoto legislativo. L’abrogazione dell’articolo del Tulps ha lasciato ai singoli Comuni la possibilità di deliberare in materia. Ma non essendo stato imposto alcun obbligo, il risultato è di fatto un vuoto legislativo e una forte spaccatura tra Regioni più tolleranti ed altre più repressive. Solo il Piemonte e la Puglia hanno liberalizzato l’arte di strada sul territorio permettendo il libero esercizio delle arti di strada in ogni Comune. Molte città d’arte storiche, come Venezia, Firenze, Roma, rendono molto difficile se non praticamente impossibile il libero esercizio. È paradossale considerando la diffusione di eventi organizzati di arte di strada autorizzati durante l’anno dalle stesse città.

“Nei piccoli Comuni la situazione è più semplice”, spiega Wanda, sputafuoco che da 25 anni gira per le valli d’Italia portando il suo “Circo del sorriso”, compagnia di teatro di strada che ha fondato con i  figli. “Nei paesi l’artista di strada è vissuto come una novità. La gente è più disponibile a seguire uno spettacolo. Difficilmente si creano problemi con le amministrazioni. A volte addirittura sgombrano le piazze dalle macchine, portano le sedie nei luoghi dove si terrà la performance, si creano delle atmosfere che in una grande città non sono possibili. Si respira un’aria di convivialità che nelle grandi città è andata persa”, aggiunge.

I ritmi frenetici nelle metropoli e il moltiplicarsi dei problemi da affrontare da parte delle amministrazioni locali, unite alla mancanza di chiarezza a livello legislativo – spesso accentuato da un disinteresse nei confronti della categoria – stanno allontanando molti validi artisti. “Quello che ho potuto vedere in questi anni di confusione – dice Adrian Kaye, clown inglese trapiantato a Roma – è che oggi i più bravi, le promesse, se ne vanno via”.

Dario Fo: “Grande scuola per capire il pubblico”

di ARIANNA DI CORI

ROMA – Parlando di arte di strada non può non venire in mente Dario Fo, uno dei più grandi portavoce di questa forma di intrattenimento. Lo abbiamo raggiunto al telefono tra un tour e una prova a teatro: in queste settimane sarà possibile seguirlo in una trasmissione televisiva “L’arte secondo Fo”, in onda su Rai5, dove, da varie città d’Italia, terrà delle particolari “lezioni” di storia dell’arte. “E molti dei luoghi nei quali ho presentato il programma erano luoghi all’aperto, tra le intemperie. La mia esperienza di teatro di strada mi è tornata utile per gestire l’imprevisto,” scherza il premio Nobel per la letteratura.

Tra gli anni ’60 e ’70 con il suo collettivo “La Comune”  ha avvicinato un pubblico lontano dai luoghi convenzionali dello spettacolo a un teatro di strada dai forti messaggi politici e satirici. “A proposito,” esordisce prima ancora di cominciare l’intervista, “ho avuto un’esperienza staordinaria in Francia 20 anni fa. Ero stato invitato a mettere in scena un Molière della Comédie-Française, primo italiano a farlo. Nella compagnia scoprii che tre attori venivano dall’arte di strada. Furono la mia fortuna! Dovevo mettere “Il medico volante” in scena. E il medico in alcuni momenti doveva davvero volare, appeso alle funi o in equilibrio su di esse. E loro erano gli unici in grado di fare acrobazie, avevano un modo di recitare che non si trova nel nostro teatro tradizionale. Erano i più completi, attori totali.”

Partendo da questa sua esperienza, pensa che lo spettacolo di strada dovrebbe essere valorizzato come quello nei teatri?
“Sì. Non si dovrebbero fare distinzioni in questo senso. Mi viene in mente quando alcuni ragazzi di Milano della Scuola di Paolo Grassi sono andati in Francia, al Festival di Avignone, per portare ‘Mistero Buffo’. Quando sono arrivati, hanno visto che nessuno si era occupato di fare una propaganda adeguata. E così sono andati in strada. Hanno recitato per tre, quattro giorni dicendo al pubblico che se voleva seguirli anche all’interno e vederli per tutta una serata poteva venire a teatro. Hanno avuto successo, un gran successo. Anzi, lo scendere in strada ha fatto si che i giornali parlassero di loro. Anche se gli applausi sono un elogio molto più diretto che i giornali e le radio”.

Sempre a proposito del contatto diretto tra persone, quali crede siano le differenze tra fare uno spettacolo al chiuso o in strada?
“In strada si crea quasi sempre una partecipazione spontanea, diretta. Succede anche all’interno ma dipende dalla cultura teatrale del pubblico. A volte si crea un muro, e quando il pubblico diventa ostile sei finito, a meno che non possiedi una forza trainante, straordinaria e la capacità di rompere questo muro. Luca Ronconi, morto proprio pochi giorni fa, aveva questa capacità, su quel piano era bravissimo. Mi ricordo quando mise in scena a Milano ‘L’Orlando Furioso’ in Piazza del Duomo. C’erano centinaia di persone che andavano, passavano, avevano altri problemi. E lui, attraverso il coinvolgimento, riuscì a far diventare il pubblico transitorio un pubblico di ascolto, di attesa e di meraviglia”.

Lo ha riscontrato anche in altri spettacoli di strada?
“Lo spirito è sempre lo stesso. Prendersi la strada. Ma bisogna conquistarsela, naturalmente coinvolgendo la popolazione. Non può arrivare un gruppo e dire: ‘Eccoci qua, ora la strada è nostra’. Non funziona così. La strada va conquistata”.

Quanto oggi l’arte di strada fa parte della nostra società?
“Nei paesi esistono delle sceneggiate che si ripetono da secoli, in particolare la sceneggiata fissa è quella della Via Crucis. La Via Crucis è di fatto un teatro di strada. Il luogo fisico dove si svolge è la strada. Perfino la crocifissione è su una montagna, più di strada di cosi’…”.

Qual è secondo lei l’anima del teatro di strada?
“È l’invenzione di quello che si fa al momento che si fa. Dove, come, con che ritmo, non sei tu che dirigi lo spettacolo, è il pubblico che ti dirige. E il pubblico allo stesso tempo parla, si muove, si avvicina, e senza rendersene conto diventa parte dello spettacolo. E’ l’improvvisazione che gira, il rapporto con il pubblico, la possibilità di giocare insieme. Questo è lo spettacolo di strada”.

E c’è un valore politico in questa forma di spettacoli?
“Guai se non ci fosse! C’è sempre stato. Non per altro tutte le grandi compagnie che lavoravano in Italia nel 1400 furono cacciate con la Controriforma. Facevano  teatro politico. Ad esempio si battevano per il diritto delle donne di esistere, di decidere della propria vita, guardate una commedia come ‘La Venexiana’, dove le donne sono soggetto e non oggetto di desiderio. Distruggevano le convenzioni, le ritualità, le strutture della famiglia ‘normale’, che spesso diventava un chiostro infame dove agire in libertà perché si detiene il potere”.

E oggi, invece, questo tipo di rappresentazioni hanno lo stesso valore?
“E’ la stessa cosa di un tempo. La società ha dei codici che vuole imporre a tutti i costi. Pensiamo alla situazione che vivono oggi i giovani. Ci sono giovani che hanno raggiunto i 40 anni e vivono ancora con la famiglia, ma ben volentieri se ne andrebbero! Non hanno lavoro e non hanno libertà. Bisogna rompere il codice”.

Lei ha fatto molto teatro di strada negli anni ’60. Cosa l’aveva spinta ad avvicinarsi a questo tipo di performance?
“Non solo era di strada, era ‘d’autostrada’. Recitavamo anche sui camion, in ogni luogo, dentro e fuori. Volevamo far notare come i testi delle commedie che si portavano in scena in teatro non fossero frutto del nostro pensiero e dalla volontà di raccontare una storia, ma frutto di un’imposizione. Ed era vero. Quando abbiamo deciso di uscire dai teatri, andare nelle piazze, nelle fabbriche, nei luoghi degli operai, del popolo, noi facevamo politica, prima e dopo lo spettacolo. Ci facevamo raccontare dal pubblico cosa provavano, come vivevano. Lo spettacolo diventava il mezzo per poter parlare,  un mezzo per la vita. Ecco cosa abbiamo perso oggi! Non si discute più della politica quando finisce lo spettacolo”.

Avevate problemi con le forze dell’ordine?
“Molte volte avevamo a che fare con la polizia e dovevamo sgombrare. C’erano delle leggi fasciste. Quella di non potersi esibire per strada è una legge fascista. Oggi c’è ancora questa legge?”.

Oggi questa legge è stata abolita.
“Ma non mi pare che nel comune di Milano questo valga in positivo. A Venezia ci si può esibire liberamente?”.

No, a Venezia oggi è molto difficile.
“Ecco. Se mi dava una bella notizia mi ubriacavo stasera”.


Milano e Torino le più accoglienti

di ARIANNA DI CORI

ROMA – Alcune città d’arte e di turismo come Firenze o Venezia sono chiuse in se stesse e molto poco ospitali verso gli artisti di strada. Solo pochi possono esibirsi ed è virtualmente impossibile fermarsi in queste città per un’esibizione di passaggio.

Anche a Roma la situazione non è molto felice. Dal 2012  è in vigore una delibera che limita molto la libertà degli artisti di strada, con orari restrittivi e poche postazioni. Ma il problema maggiore è il rapporto con le forze dell’ordine. “C’è una situazione di intolleranza generale. E tra abusivi che vendono paccottiglia e movida notturna che porta disagi, la categoria degli artisti di strada è la più vulnerabile”, spiega Daniele Leppe, avvocato che i questi anni ha seguito da vicino gli artisti di strada romani. Il Comune non fornisce un vero permesso, si tratta di una “comunicazione formale”. In molti casi le stesse forze dell’ordine si ritrovano in difficoltà davanti alle proteste di negozianti o residenti di un quartiere e si ritrovano costretti a sgomberare un artista di strada anche se in piena regola. “Non è colpa di nessuno, le associazioni del centro storico non ne possono più e i vigili fanno il loro lavoro”, conclude Leppe.  Tra gli articoli della Delibera ve ne erano alcuni che bandivano ogni forma di amplificazione, strumenti  a fiato e a percussione, ma grazie al lavoro congiunto di artisti e avvocato vennero aboliti nel 2013 grazie ad un ricorso al Tar.

A Milano invece dal 2012  è in vigore un sistema informatico venduto al Comune dalla Fnas, Strad@aperta. Si tratta di una piattaforma online che permette di prenotare la propria postazione con un click da casa. L’introduzione del sistema ha fatto sì che Milano si posizionasse al terzo posto nella classifica delle “Migliori città per l’arte di strada” stilata dal quotidiano irlandese Indipendent, a pari merito con Dublino e Praga e preceduta da Sidney e San Paolo. “Gli artisti di strada sono una grande risorsa, oggi, abbiamo 1.800 artisti che operano in città”, dice l’assessore al Tempo libero e qualità della vita, Chiara Bisconti.

Tuttavia, “è talmente facile prenotarsi che alcuni lo fanno con leggerezza  –  spiega Gianni Guaglio, musicista di strada milanese  –  e capita che alcune postazioni risultino occupate ma di fatto siano libere, limitando le possibilità di lavoro per gli altri. Ma si tratta di un sistema sperimentale che può essere migliorato”.  Forse è proprio per la troppa facilità a scendere in strada che offre il  sistema di prenotazioni che anche a Milano si comincia a notare un’invasione di persone ben lontane dall’arte di strada. In vista dell’Expo, l’amministrazione comunale sta pensando ad una commissione che valuti la qualità degli spettacoli. Tuttavia i rapporti a Milano tra artisti di strada e forze dell’ordine sono più amichevoli. “Non vogliamo creare problemi di ordine pubblico, se qualcuno alza troppo il volume cerchiamo di dirglielo noi prima che sopraggiungono i vigili. Sono convinto che per  avere una situazione in strada felice basti un po’ di buonsenso tra noi”, conclude Guaglio.

Ed è proprio all’insegna del buonsenso che si lavora a Torino, una delle città dove l’arte di strada è più tollerata e valorizzata. Non ci sono opinioni discordanti, tutti gli artisti condividono la linea di Alberto Bertolino, uno degli artisti storici che si esibisce con un organetto di Barberia, lo strumento a monovella anni ’30.  “Con una piccola spesa offriamo alla città un intrattenimento di qualità, questo l’amministrazione comunale lo sa –  dice Bertolino – Cinque euro, uno ad artista, un gelato e passi un bel pomeriggio vedendoti 5 spettacoli”.  “In 10 anni che lavoro qui – dice ancora Bertolino -solo una volta i vigili sono venuti a chiedermi i documenti. Generalmente ci salutano cortesemente. Al massimo mi è capitato di vederli andare a far abbassare il volume ai ragazzi che suonavano troppo alto. Ma  qui noi artisti non abbiamo mai avuto alcun problema”.

Il motivo sta nella capacità insita nella strada, e negli artisti che la popolano, di autoregolarsi. “Noi artisti di strada come tutti  –  continua Bertolino –  abbiamo bisogno di guadagnare. Chi non riesce a guadagnare, non continua a fare questo lavoro.  Chi non capisce le regole della strada, il rispetto verso gli altri artisti, i negozianti, il pubblico, non dura. Lo vediamo d’estate quando le strade vengono invase da ragazzi giovani con la chitarra e gli amplificatori. Si divertono finché fa caldo, ma con i primi freddi se ne vanno. Poi certo, ci sono e ci saranno sempre persone bisognose , o disperate, che strimpellano la stessa canzone tutto il giorno  per 10 euro, ma anche quella è la strada”.

Senza di loro ci sarebbe solo il rumore

di ERNESTO ASSANTE

ROMA – La strada è un palcoscenico. Anzi, per molti è “il” palcoscenico. E non solo per chi è alle prime armi, cerca di farsi conoscere, prova per la prima volta il contatto con un pubblico che ascolta, ma anche per chi di carriera ne ha già fatta abbastanza, perché il contatto diretto con chi sta facendo qualcos’altro, passa, cammina, e viene catturato dalla musica è incredibilmente diverso da tutto il resto. Lo sa bene Claudio Baglioni, che si è divertito alcune volte a suonare in strada sotto mentite spoglie negli anni passati. Lo sa Bruce Springsteen, che continua a sorpresa a scendere in strada a suonare la sua chitarra quando può e ne ha voglia. E di musica in strada sono piene le biografie di tante grandi star, italiani come Bennato, internazionali come Tracy Chapman. Perché la strada ha un fascino incredibile, la possibilità di “colpire” per qualche istante il cervello di chi passa con una sensazione, un sentimento, un suono, è diversa da tutte le altre che vengono offerte a un musicista su un palco, anche piccolo, anche nascosto. Suonare in strada è per molti versi una dimensione professionale, bisogna saperlo fare, saper entrare con garbo nella vita di chi passa e ascolta, capire i momenti, le ore, le giornate, suonare in strada è un’arte a se stante che si impara con l’esperienza e che arricchisce chi la pratica in maniera profondissima.

Ora, è bene fare differenza tra chi suona sempre le stesse tre canzoni, con una chitarra scordata o con un sassofono, davanti ai tavoli di un ristorante per racimolare qualche spicciolo dai turisti, e chi invece propone in strada la propria arte, senza compromessi e con molto coraggio. Se i primi contribuiscono unicamente al rumore di fondo delle città e anzi maltrattano la musica con incredibile pervicacia, i secondi invece sono i cultori dell’arte musicale, che vivono senza compromessi e in prima persona, senza pensare a “prodotti”, “promozioni”, “classifiche”, “successi” e quant’altro. No, per i musicisti di strada la musica non è solo una fonte di sostentamento per il corpo, ma soprattutto per l’anima. Il loro scopo è altissimo, è quello di far scattare, in chi passa in fretta da una strada per un qualsiasi motivo, una leva emozionale che lo spinga, per un momento, a fermarsi, a dare ascolto e attenzione alla musica, così come non fa quasi nessuno ascoltando la radio o con i propri auricolari facendo qualcos’altro.

I musicisti di strada, invece, chiedono al proprio pubblico di fermarsi per qualche minuto e prestare attenzione alla musica, trasformandosi in guardiani dell’arte, in difensori della bellezza, che provano a propagare tra le pieghe delle nostre città, negli angoli delle vie centrali, nei tunnel delle metropolitane, li dove possono e riescono a suonare. Dobbiamo ringraziarli, perché senza di loro le città avrebbero solo il rumore delle auto o della musica di consumo che esce dai negozi.

Riproponiamo anche il video di Dario Fo in Campidoglio nel 2000
(che non era nell’articolo del quotidiano La Repubblica)

Translate »

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi